Guardando
l'immagine
dei
quattro
calciatori
dello
Scalo,
e
scorrendo
gli
aneddoti
che
didascalicamente
l'accompagnano,
ancora
una
volta
il
mio
pensiero
torna
alla
figura
di
quella
Professoressa
di
lettere
di
Cassino
che
per
prima
mi
introdusse
allo
studio
delle
lettere. Le antiche e le moderne.
Parlo
di
Furia
Anna
Grazia,
della
Scuola
Media
"Abate
Gregorio
Diamare”,
e
delle
lezioni
di
epica,
principiate
con
l'Iliade,
che
lei
impartí
a
me
e
ad
una
trentina
di
ragazzini
un
po'
selvatici
di
Cassino
e dintorni, all'inizio degli anni sessanta.
"Mó
che
c'entra
l'epica
co'
Pinuccio-Bankette
e
company
che
giocavano
alla
palla?"
qualcuno
si
chiederà.
"
E
poi
'sti
Aiaci!”
“Primo
chi
sono,
secondo
che
c'entrano?"
aggiungerà
qualcun
altro
pensando
in
cuor
suo
di
mandarmi
al
Diavolo
e
passare
ad
altro.
E
invece
c'
entrano,
come
spiegherò
tra
poco,
dopo
aver
detto,
solo
per
quei
due
o
tre
che
al
momento
non
ricordino,
che
gli
Aiaci
erano
guerrieri
greci,
i
più
valorosi
e
forti
dopo
Achille
tra
quelli
che
combatterono
sotto
le
mura
di
Troia,
come
Omero
ci
raccontò.
Aiace
Telamonio
ed
Aiace
Oileo,
si
chiamavano
per
l'esattezza,
ed
avevano anche un fratello, Teucro.
Ecco
quella
degli
Aiaci
e
delle
loro
gesta
era
una
memoria
che
riaffiorava
alla
mente
ogni
volta
che
prendevo
il
treno
per
andare
al
lavoro
a
Roma,
partendo
da
Ciampino.
Ogni
volta,
per
la
precisione,
che
quel
treno
veniva
da
Cassino
o
da
altri
luoghi
della
Ciociaria.
Parlo
dei
treni
pendolari
di
una
trentina
d'anni
fa
quando
ancora
si
fumava
negli
scompartimenti
e
le
donne
facevano
i
maglioni
di
lana
con
i
ferri
sotto
le
ascelle
o
i
ricami
ad
uncinetto
con
i
rotoli
di
filo
bianco.
Gli
uomini,
quelli
che
non
dormivano,
leggevano
il
giornale,
quello
di
carta
con
i
fogli
grandi
come
lenzuola,
mentre
qualcuno
giocava
a
tressette
e
qualche
ragazzo
studiava.
C'era
sempre,
poi,
chi
chiacchierava
animatamente
con
i
compagni
dello
scompartimento
raccontando,
specie
il
lunedì,
gli
accadimenti
del
week
end
appena
trascorso.
Storie
di
feste
e
di
pranzi,
di
incontri
e
di
accadimenti
vari
non
mancando
mai,
ovviamente,
la
partita
di
pallone della domenica.
Era
proprio
durante
la
narrazione
di
quelle
partite,
descritte
momento
per
momento,
che
l'atmosfera
si
enfatizzava
e
i
toni
diventavano
via
via
più
alti.
"Ahó,
ma
l'
Aiaci
quando
arrivano?"
mi
incalzerà
a
questo
punto
il
solito
impaziente.
Ebbene
gli
Aiaci
da
me
evocati
non
arriveranno
mai
ma
le
azioni
descritte
dai
narratori
di
quegli
scompartimenti
li
evocheranno
sempre
anche
se
oggi
le
narrazioni
non
avvengono
più
in
treno
ma
saranno
ristrette,
magari,
a
qualche
piccolo
bar
di
un
paesini
ciociari.
"Ma
te
chigliu
tire
de
gliu
seconde
tempe?"
"E
chigliu
passaggi
arrete?"
"E
chigl'arbitre?"
"Che
curnute!"
Erano
queste
le
espressioni
che
si
ascoltavano
più
o
meno
in
ogni
racconto
quando
l'aedo
pendolare
descriveva
le
gesta
dell'
eroe
dell'ultima
partita
e
pareva
proprio
di
vederlo,
quell'
eroe,
correre
avanti
e
indietro,
traversare
irruento
qualche
polveroso
campetto
di
calcio
magari
ad
Isola
Liri
o
a
Ceccano
o a Castro dei Volsci.
E
scartare
e
passare
la
palla
e
riprenderla
e
tirare
in
porta
e
segnare
ed
alzare
le
braccia
in
segno
di
gioia
verso
gli
amici
festanti
lungo
il
bordo
del
polveroso arengo.
Di
quel
rettangolino
di
terra
grigia
che
di
lì
a
poco
sarebbe
tornato
deserto
e
silenzioso
ma
che
intanto
vedeva
compiersi
le
gesta
dell'eroe
domenicale
che
sarebbero
state
cantate
il
giorno
seguente
dall'eccitatissimo
aedo
di
cui
sopra
nello
scompartimento
pieno
di
fumo
di
un
trenino
sferragliante
diretto
a
Roma.
Quali
allora
le
differenze
tra
le
gesta
tra
le
epiche
imprese
dei
mitici
antichi
omerici
eroi
che
si
battevano
per
espugnare
le
porte
Scee
e
quelle
degli
attuali
eroi
in
calzoncini
e
maglietta
guizzanti
appresso
ad
una
palla
per
cercare
di
trafiggere
il
portiere
che
difendeva
la
porta
magari
del
Ceprano?
Questo
non
lo so!
Sono
però
convinto,
per
averlo
vissuto
in
quei
giorni
lontani
sullo
stesso
trenino
sferragliante
che
stava
per
entrare
a
Roma
Termini,
che
l'enfasi
dall'aedo
e
la
silenziosa,
consenziente
attenzione
di
chi
l'ascoltava, saranno stati i medesimi.
(Renzo Marcuz)
(DI Renzo Marcuz)
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