(Le musicassette Il Direttore)
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Alvito,
di
Valleluce,
di
Atina,
di
Villalatina,
di
Fontechiari,
di
cento
altri
luoghi;
e
ciascun
gruppo
recava
i
segni
particolari
della
provenienza:
parlata,
portamento,
acconciatura.
Belle
ma
rustiche,
diranno
i
molti,
graziose
ma
poco
interessanti;
e
tra
i
sospettati
di
riserbo
cittadino
includete
anche
me.
Eppure
io
vi
giuro
che
tra
le
giovani
convenute
alla
fiera
di
San
Donato
non
ne
vidi
nessuna
con
le
cioce,
nessuna
che
non
avesse
a
portata
di
mano
un'occhiata
traditora,
nello
sguardo
accoltellatore.
Voglio
dire
che
certe
definizioni,
certi
giudizi
sommari
(la
bella
pretesa
di
voler
misurare
tutto
e
tutti
col
metro
del
comune
giudizio,
insomma)
possono
a
volte
far
la
figura
di
quei
coperchi
di
coccio
fesso:
li
metti
sulla
pentola,
si
spaccano,
e
ti
vanno
a
finire
a
pezzi
nell'acqua bollente.
Che
belle
pettorine
bianche
candide,
intorno
al
collo
e
sul
petto
di
quelle
figliole;
e
come
ci
si
stagliavano il contorno e le luci delle collanette!
Ognuna
aveva
i
suoi
coralli
tondi
o
sfaccettati,
gli
orecchini
dai
grandi
cerchi
con
che
il
sole
del
mattino
giocherellava,
ognuna
la
sua
veste
dai
mille
disegni,
dai
cento
colori,
il
suo
zendalino
allegro
e
ciarliero,
le
sue
scarpette
a
punta.
E
ovunque
sete
morbide,
nastri
di
roba
fine,
velluti
cangianti,
sissignori;
e
lini
di
ieri
custoditi
nel
canterano
col
mazzetto
di
spigonardo,
e
lane
di
vello
di
pecora,
vello
di
un
anno,
tosato
tra
il
maggio
e
il
giugno
dopo
il
tuffo sacramentale nelle acque del Melfa.
Chiesi
a
un
gruppetto
allegro
frugante
su
un
bancherello
di
oggettucoli
e
ninnoli,
il
nome
di
quella
speciale
acconciatura,
di
quel
fazzoletto
che
in
foggia
mai
per
l'innanzi
veduta
copriva
loro
il
capo
a
pieghe
e
rialzi.
Chiesi...
ma
la
risposta
mi
venne
da
una
vecchietta,
gentile
in
verità
e
più
ancora
compassionevole,
inosservata
sull'uscio
prossimo
di
un'abitazione.
Scesi
i
due
scalini
della
porta
di
casa,
m'era
venuta
incontro
premurosa
e
sorridente.
Seppi
così
per
bocca
di
una
sandonatese
in
età,
dell'«uommacìle»,
il
caratteristico
copricapo
in
uso
tra
le
donne
di
Val
di
Comino.
Le
altre
s'erano
allontanate
senza
nemmeno
rispondermi,
incrociando sguardi di traverso sulla mia confusione.
Se
le
gambe,
chissà,
mi
dovessero
un
giorno
riportare
a
San
Donato,
non
più
con
la
stilografica
affacciata
al
taschino
ci
tornerò,
né
col
decimo
di
Tito
Livio
in
saccoccia,
alla
ricerca
dei
luoghi
dove
la
spada
di
Roma
creò
l'immane
tragedia
sannita.
Tornerò
invece
lassù
ornato
di
un
bel
paio
di
guardamacchi,
calzerò
i
piedi
con
un
altro
bel
paio
di
cioce,
e
le
sceglierò
di
punta
ben
lunga,
ricurva
all'usanza
orientale,
come
piacciono
agli
agricoltori
del
Liri
e
del
Melfa.
Pezze
di
tela
fresche
di
bucato
sui
polpacci,
e
intorno
intorno
stringhe
di
corame
nero,
con
una
mano
di
strutto.
Per
il
resto,
giacca
corta
tagliata
a
risparmio
e
camicia
di
cotonina
bianca,
scollata.
E
perché
non
mi
abbiano
a
giudicare
troppo
sannita,
infilerò
nella
fascia
del
cappello
a
cono
una immaginetta di Nostra Donna di Canneto.
Così
rifatto
mi
proverò
a
ripetere
alle
valliggiane
del
Comino una eguale domanda.
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