assiepamento
di
teste
coperte
di
bianco,
di
un
effetto
bellissimo.
Ho
anche
veduta,
nella
chiesa
di
San
Pietro
Ispano,
costruita
nel
cortile
medesimo
del
Palazzo
Filonardi,
una
importantissima
opera
d’arte.
E’
un
angelo
di
mosaico,
eseguito
da
Giotto,
cui
fu
commesso
in
Roma
da
Bonifacio
VIII.
E’
dello
stesso
stile
della
famosa
navicella
di
San
Pietro,
di
purissimo
disegno,
dall’espressione
femminilmente
gentile.
Un’antica
iscrizione
latina
postavi
accanto
è
prova
sicura
dell’autenticità
di
quel
lavoro.
E
poi
ho
trovato
un’altra
cosa,
forse
molto
più
importante
di
questa;
ed
è
il
muro
di
cinta
della
antichissima
Bovillae,
una
città
piccola,
ma
che
dette
molto
da
fare
a
Coriolano,
il
quale,
a
quel
che
sembra,
assalitala
con
un
esercito
regolare,
fu
più
volte
respinto
giù
per
il
declivio.
Il
quale
declivio
io
ho
voluto
visitare,
poco
curando
la
via
lunga,
ripida
e
sassosa,
e
il
caldo
intensissimo.
Le
mura
di
cinta
sono
costruzione
pelasgica
del
secondo
periodo.
Ho
cercato
anche,
ma
inutilmente,
i
ruderi
d’un
anfiteatro,
i
quali,
a
quel
che
m’ha
detto
un
dotto
prete
di
Boville,
è
posto
in
quella
medesima cinta pelasgica.
Ma
una
delle
cose
più
belle
di
Boville
è
la
profondità
del
cielo
che
si
vede
da
questa
altura.
E
bello
è
l’orizzonte
con
le
montagne
lontane.
Dalla
passeggiata
che
corre
intorno
al
paese,
si
scoprono
nientemeno
che
settantadue
paesi,
quali
sui
monti
e
quali
sulla
pianura.
E’ un panorama immenso, grandioso, indimenticabile.
Appunti di viaggio in Ciociaria
(seconda fermata)
La Fiera di San Donato
Come
sanno
i
lettori
più
attenti
alle
pagine
sulle
tradizioni
ciociare,
dal
numero
scorso
L’Eco
di
Roccasecca
sta
pubblicando,
a
puntate,
una
serie
di
articoli
narrati
in
prima
persona,
che
descrivono
esperienze
di
viaggio
in
paesi
ciociari.
Ricordiamo
che
se
qualche
lettore
volesse
inviarci
la
sua
personale
"gita
in
Ciociaria",
la
prenderemmo
senz’altro
in
considerazione.
Questa
volta
ci
viene
offerta
una
descrizione
della
Fiera
di
San
Donato, da parte di
Luigi Alonzi
. Il testo risale al 1938.
Arrivai
a
San
Donato
tra
le
dieci
e
le
undici
del
mattin,
giusta
in
quell'ora
che
il
va
e
vieni
e
l'affittirsi
di
ogni
fiera
tocca
il
limite,
e
stravasa.
Venivo
da
Sora.
Addossato
al
parapetto
di
un
ponticello,
posto
se
ben
ricordo
entro
il
paese
in
una
specie
di
largo
alberato,
mi
posi
prima
a
guardare,
la
testa
in
su,
l'alveo
di
un
torrentaccio
secco
bruciato,
che
scendeva
dalla
montagna ripido da far paura.
Ebbi
fin
l'impressione
che
mi
cascasse
addosso,
o
che
io
vi
cascassi
dentro,
e
così
ruzzolassi
per
tutto
il
restante
della
costa
sino
al
fondovalle.
Chissà
che
musica
quando
la
tempesta
s’abbatte
in
cima
a
Forca
d’Acero.
San
Donato
è
l’ultimo
comune
ciociaro
a
ridosso
della
valle
ehe
prende
il
nome
dall'antica
Cominium,
ed
è
su
in
altura, al confine con gli Abruzzi.
Un
odore
di
tegame
ben
drogato,
quel
tipico
odore
di
cucina
di
fiera,
faceva
tutt'uno
con
la
confusione
dell'ora,
gli
strilli
dei
rivenduglioli,
le
filastrocche
degli
imbonitori;
dava
quasi
al
cervello.
Ma
l'aria
era
sottile,
e
sapeva
di
bosco;
una
manna
con
quel
sole
arrabbiato.
Appeso
al
battente
aperto
di
un'osteria
di
quei
pressi,
scuoiato
e
con
le
entragne
esposte,
un
castrato
pendeva
col
capo
in
giù;
sopra
un
tavolo
messo
per
lungo
e
portato
dalla
cantina
sino
al
margine
della
soglia,
il
solito
piatto
di
pesce
fritto
ingabbiato
nella
moscarola.
Sul
tavolo
c’era
anche
un
cocomero,
bello
tondo,
bello
grosso;
in
posizione
di
piena
visibilità
una
fetta ne indicava il grado di erubescenza.
Carrettieri
in
fusciacca
multicolore
con
la
frusta
a
tracolla,
sensali
loquaci
appoggiati
alla
mazza
di
corniola
lussureggiante,
villani
di
più
luoghi,
in
costume
entravano
e
uscivano.
Taluni
prendevano
posto
o
s’approvvigionavano,
altri
prenotavano
e
a
gran
voce
lanciavan
saluti
all’oste;
altri
ancora
di
fuori,
bevevano
in
piedi
e
trattavano.
C'erano
vetturali
che
tracannavano
a
testa
levata,
le
gambe
allargate,
la
frusta
penzoloni;
vedevi
le
protuberanze
delle
gole
muoversi
su
e
giù,
a
seguire
i
movimenti
di
deglutizione.
Bevevano
rumorosamente
e
a
occhi
socchiusi,
ciascuno
alla
salute
di
tutti.
Le
donne,
in
minor
numero,
vincevano
la
tentazione
del
pranzo
occasionale
con
timidezza
duplice,
innata
e
campagnola;
e
perciò
si
tenevano
d’accosto
agli
uomini, talune dietro la schiena loro.
Vidi
una
bambinetta
piangere,
e
piangendo
esortar
la
madre
ad
uscire:
"Jamocéne,
ma’
…
jamoncénne".
Vestiva
come
le
grandi,
e
sembrava
l’Assennatezza
adolescente.
Sui
singhiozzi
di
quell’innocente,
desiderio
di
casolare
solitario,
rimpianto
di
campagna
assolata,
scesero
le
note
malinconiche
di
un
cantastorie.
Mi
apprestai
a
sentirlo,
rompendo
il
cerchio
di
quanti
erano
accorsi
e
se
lo
gustavano,
nel
cerchio
aggiustando
anche
me.
Suonava
sotto
l’alberata,
all’ombrìa:
fisarmonica
intonata,
tecnica
di
chi
sa
il
fatto
suo.
Con
la
schiena
e
uno
dei
piedi
poggiati
sull’albero,
l’orecchio
destro
attento
sullo
strumento,
lasciava
che
le
dita
giocassero
sulla
tastiera
e
gli
accompagnassero
la
voce
della
sua
donna.
Feci
presto
a
capire
che
l’animo
di
quel
povero
girovago
non
era
nel
giuoco
ormai
saputo
delle
dita,
sì
bene
in
ciò
che
esse
rendevano.
Così
il
canto
prese
anche
me,
come
già
aveva
preso
gli
altri,
e
fummo
tutt’uno.
Val
di
Comino è canora, e direi forse meglio poetica.
Si
svolgeva
il
canto
semplice
e
piano,
tra
chiesiastico
e
popolare,
mai
sciatto,
mai
propriamente
liturgico.
A
quanti
lavorano
e
hanno
cuore,
i
lavoratori
dei
campi,
gli
artigiani
di
ogni
mestiere,
narrava
i
miracoli
del
Santo
«giglio
giocondo,
nominato
per
tutto
il
mondo»;e
cercava
la
meraviglia
più
in
ciò
che
voleva
raccontare che nell’effetto di arte.
Chiudeva così il ritornello:
Vai vestito sempre da frate:
Viva Sant’Antonio Abate!
Gli
ultimi
versi
mi
fecero
un
po’
riflettere
meglio
sul
contenuto
della
canzone,
e
mi
resi
subito
conto
che
la
duplice
agiografia
antoniana
non
era
certo
il
forte
del
cantastorie.
Il
pover'uomo
mai
in
vita
sua
aveva
fatto
il
sagrestano,
se
impastava
così
alla
leggera
i
miracoli
dell'Asceta
del
deserto
col
Santo
di
Lisbona.
Del
resto,
il
popolo
non
se
ne
accorse
e
io
nemmeno
dissi
nulla.
Comperai
anzi
il
foglietto
che
la
donna
andava
distribuendo,
lo
lessi
e
rilessi,
e
vi
assicuro
che
lo
conservo ancora.
Si
spostavano
di
tanto
in
tanto
il
girovago
e
la
moglie,
non
vecchi
ma
patiti;
e
non
li
mollai
sino
a
che
non
ebbi imparato e versi e accordo.
Grigi
di
polvere,
scuri
e
scarni
nel
volto,
sembravano
figli del sudore e della strada quei poveracci.
Così,
per
il
piacere
del
cantastorie,
senza
esserne
andato
alla
cerca,
m’ero
trovato
a
gomito
a
gomito
con
certi fior di belle ragazze, che vi so dire.
La
più
ricca
mostra
di
costumi,
oltre
tutto,
che
avessi
veduto
in
vita
mia;
con
questo
di
diverso,
che
lì
in
fiera
tutto
era
natura
e
spontaneità,
fin
gli
esseri
graziosissimi
che
quei
costumi
indossavano;
e
invece,
nelle
rassegne
propriamente
dette,
quanta
posa
e
quali artifici di fuori e di sotto.
La
festa
aveva
chiamato
a
raccolta
quella
selva
di
gioventù
da
tutti
i
borghi
e
i
vichi
e
i
paesi
della
valle;
ce
n'erano
di
Vicalvi,
di
Montattico,
di
Casalvieri,
di
(Viaggio in Ciociaria Luigi Alonzi)
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