(Collepardo)
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cumulo
di
guano,
e
neppure
la
regina
Margherita
da
cui
prende
il
nome,
ci
poté
mettere
piede
per
la
medesima
ragione,
quando
andò
a
visitarla.
Sentivamo
squittii
e
dentro
i
pipistrelli
col
loro
brusìo
acuto,
fitto,
ma
irregolare,
a
sbalzi
come
quello
dei
topi
campagnoli,
di
notte,
nei
solai.
Anche
lì
c'era
il
suo
mistero,
anche
quella
era
una
soglia
incantata
e
proibita,
e
però
ci
s'apriva
una
strada
per
chi
sa
dove,
verso
chi
sa
quale
sprofondo,
un
nulla
nero,
rombante e fremente, di parole mai intese.
Un altro disegno con l’interno delle Grotte
Nelle
nostre
passeggiate
più
lunghe
arrivavamo
alla
foresta
di
cerri
che
circonda
e
ombreggia
l'abbazia
certosina
di
Trisulti,
venerabile
di
santi
e
di
secoli
antichi.
E
le
montagne
di
lì
apparivano
più
basse,
amiche,
e
sotto
di
noi
era
un
precipitare
di
rocce
imbastite
dal
Cosa con un filo di cristallo.
Ora,
ogni
isola
deserta,
per
tante
dolcezze
porta
anche
il
suo
amaro
che
è
il
limite;
il
fragoroso
mare
in
cui
s’esalta
ed
è
oppressa,
l'onda
che
va
e
viene
e
dice:
mai
più,
e
dice:
più
oltre.
E’
il
confine
che
bisognerà
pur
trapassare
se
non
si
vuole
uscire
dalla
vita;
perché
questa
vita
che
ora
t'appare
immota
e
trasognata
ti
urge
invece
dentro,
ti
richiama,
t'esige
e tu stesso la vuoi e non potresti negarti.
Per
noi
l'amaro
stava
nel
pensiero
di
mio
padre,
a
Roma,
forse
in
pericolo,
che
presto
avrebbe
conosciuto,
steso
e
calcato
sul
letto
operatorio,
il
ferro
del
chirurgo,
e
noi
non
potevano
farci
nulla.
Era
lecito,
era
retto
questo
nostro
annullarci,
dimentichi
d'ogni cosa, dentro l'idillio amoroso?
Con
questo
pensiero
mi
tormentavo
una
sera,
mentre,
seduto
sul
margine
erboso
della
corrente,
sentivo
mia
moglie
ridere
gaia
perché
il
cane
del
capraio
che
mungeva
per
noi
il
latte
le
aveva
adagiato
il
testone
in
grembo
e
il
naso
umido
e
gli
occhi
imploranti.
Molta
apprensione
e
un
poco
di
rimorso.
Ma
in
quel
momento
il
sole
tramontando
gettava
manate
di
colore
sui
costoni.
sulle
.rupi,
sul
frondame
degli
alberi.
Giallo
di
croco
lacca
di
garanza.
carminio
e
perla
e
tra
monte
e
monte
l'aria
tersissima
pareva
farsi
liquida,
supina
sotto
il
sole
cadente;
e
poi
eravamo
dentro
un
calice
d'oro,
tutti
tuffati e bagnati di luce: una grande luce.
Allora
risi
anche
io
perché
il
cane,
per
essere
accarezzato,
faceva
il
pagliaccio:
mossucce,
salterelli,
guaiolini.
Che
poteva
succedere
di
male,
dentro quella luce, sulla terra dove ci si vuole bene?
Come
ho
detto
sono
ritornato
a
Collepardo
pochi
giorni
fa.
Il
paese,
in
fondo
a
una
strada
che
s’arresta
alla
Certosa
e
non
va
oltre,
è
rimasto
su
per
giù
quello
di
prima:
un
paese
imbalsamato
nella
pace.
Ma
tutto
non
è
più
il
medesimo:
il
pozzo
Santullo
che
rivedevo
nel
ricordo
come
un
mondo
nel
mondo,
misterioso
e
sconfinato,
popolato
di
creature
fiabesche,
m’è
parso
solo
una
buca
mediocre
e
cespugliosa
affondata
nella
roccia,
il
fiume
è
troppo
lontano
e
per
giungerci
a
piedi,
oggi,
e
poi
ci
hanno
fatto
due
dighe
e,
per
andare
alla
grotta
Margherita
c'è
ancora
una
strada
sassosa
e
faticata
troppo;
solo
la maestà dei cerri rimane immutata.
Che è cambiato? Che è cambiato? Nulla.
Noi
cambiamo
giacché
non
son
più
con
noi
quella
speranza
e
quella
disperazione
che
chiamammo
giovinezza.
Però
di
tanto
sole,
del
sole
d’allora,
un
poco
almeno
ce
n'è
rimasto,
a
lei
e
a
me
e,
in
quella
luce
incantata,
ancora,
grazie
a
Dio,
per
noi
non
è
giunta
la sera.
Carlo Alianello
Strenna Ciociara
Collepardo: Via del Municipio (cartolina anni ‘50)
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