moglie
ne
aveva
diciannove,
giovane
giovane,
esile
e
snella,
quasi
pallida,
quasi
bionda.
Ora
è
una
signora
anziana,
ancora
esile,
ancora
pallida,
forse
bionda,
già
nonna
e
snella
tuttavia.
Questo
lo
dico
per
fare
paesaggio
siccome
a
chiarire
un
luogo
ci
vogliono
sì
colori
di
terra,
di
rocce,
di
erbe,
d’alberi,
di
case,
ma
anche
l’uomo
fa
la
sua
macchia
o
la
sua
luce.
Perciò
mi
tocca
raccontare
una
storia;
poniamo
che
sia
la
prima
trama
d'un
romanzo
o
la
scaletta
d’un
film
da
sceneggiare.
Ecco:
lui,
il
protagonista.
cioè
io,
torna
a
Roma
dopo
molti
giorni
d’assenza;
l’eroe
rientra
in
casa
senz’altro
eroismo
che
l’aver
preso
parte
a
una
sessione
d’esame.
E’
sceso
di
tarda
sera
dal
treno
di
Napoli
e
aspira
alla
cena e al letto.
Alla
famiglia
e
alla
consorte
amata
no,
perché
in
casa
non
c'è,
anzi
non
ci
deve
essere
nessuno.
Padre,
madre
e
moglie
stanno
a
villeggiare
in
un
certo
paese
che
nessuno
conosce,
tratti
a
quei
monti
dall’incitamento
d’un
certo
parente
che
l’anno
avanti
ci
ha
villeggiato,
ma
questa
estate
gli
tocca
rimanere
in
città.
Invece
l’eroe
trova in casa mamma e papà.
E
Lei?
Lei
è
rimasta
a
Collepardo,
affidata
alla
padrona
di
casa,
brava
donna
e
assennata.
E
tutto
questo
perché
papà
sta
male.
Il
male
lo
prese
lassù
e
gli
toccò
tornare
precipitosamente
a
Roma
insieme
alla
mamma.
La
sposa
è
rimasta
alla
villeggiatura
perché
si
contava
di
tornare
tra
uno
o
due
giorni
al
massimo
e
invece
il
dottore
ha
deciso
che
il
signor
colonnello
dovrà
entrare
in
clinica
per
essere operato; non subito però:
l’operazione
vera,
quella
paurosa,
quella
sanguinosa,
avverrà
tra
un
mese
o
poco
più.
Che
fare?
Il
pericolo,
se
pericolo
c’è,
arriverà
fra
trenta
giorni,
puntuale
con
la
volontà
del
chirurgo,
e
intanto
Lei,
l’eroina
è
rimasta
lassù,
tutta
sola.
Bene,
il
papà
decide:
entrerà
in
clinica
e
la
moglie
gli
terrà
compagnia;
Lui
raggiungerà
Lei
sulla
montagna.
Così
l’eroe
va
a
Collepardo.
E
qui
la
trama
del
romanzo,
ovvero
la
scaletta
della
sceneggiatura,
si
discioglie
in
tanti
rivoli
sottili
che
sono
veli,
apparenze,
arabeschi,
forme
e
cose
dell'animo
intimo
e
dei
sensi.
Un
andare
breve
e
pure
così
lungo
che
dura
ancora,
un
rigirare
attorno
e
dentro
un
paesetto
in
cima
a
una
roccia,
sospeso
tra
alte
montagne.
La
ragione
e
il
merito
furono
di
mia
moglie
la
quale
in
quella
settimana
che
restò
sola,
aveva
steso,
senza
volerlo
né
saperlo,
un
filo
attorno
al
paese,
ch’era
un
filo
di
simpatia.
Già,
così
sottile,
bianca
e
bionda,
faceva
contrasto
con
le
bellezze
paesane,
alte,
formose,
nere
d’occhi
e
di
capelli,
come
son
le
ciociare.
Forse
non
la
stimavano
neppure
bella
o
almeno
piacente;
diversa
bensì.
Poi
ci
fu
la
padrona
di
casa
che
l’andava
vantando
con
le
comari:
così
gentilina,
così
discreta
e
senza
pretese!
«
Come
ha
da
esse
'na
signora,
ammagara
giovinetta
».
Ma
il
parere
ultimo,
il
definitivo,
lo
dettero
le
vecchie,
le
nonne,
le
suocere,
le
madri
anziane,
che
sono
quelle
che
comandano,
quando
l’ebbero
vista
ogni
mattina
in
chiesa,
col
libro
da
messa
nelle
mani,
pia.
L’approvarono.
Poi,
quando
fui
arrivato
io,
per
merito
suo,
approvarono
anche
me.
D’altronde
una
coppia
di
sposi
giovani
fa
sempre
tenerezza.
Allora
tutto
il
paese
ci
avvolse
dentro
una
simpatia
riserbata
e
tacita
e
quell’anno
eravamo
noi
gli unici villeggianti.
Nessuno
ci
disturbò:
cauti
sorrisi
e
affettuosi
al
nostro
passaggio,
occhiate
compiaciute,
qualche
dono
di
frutta;
la
padrona
poi
non
volle
che
la
sposina
s’affaticasse
e
badò
lei
al
pranzo
e
alla
cena.
Sicché
noi
eravamo
liberi,
sciolti
e
protetti.
Ora,
il
paese
sta
tutto
sulla
roccia,
sospeso
all’orlo
d'una
valle
profonda,
precipitosa,
quasi
un
burrato
di
molte
balze,
e
la
roccia
è
bucata,
tutta
cavità ed anfratti, mostrando la sua
ossatura
in
costoni,
in
contrafforti,
in
irte
conche
che
sono
quasi
voragini.
E
nel
fondo
della
valle
scorre
un
fiumicello,
il
Cosa,
che
va
lento
scansando
gli
alberi
antichi e le petraie. Luogo di tregenda, ma anche d’idillio.
Così
noi
ce
l’andavamo
esplorando
un
po'
per
volta,
giorno
per
giorno,
come
una
terra
nuova
e
inabitata.
La
vecchina
che
sedeva
col
rotolo
di
lana
in
grembo
a
far
la
calza,
e
ci
sorrideva,
il
pastore
che
sbucava
sulla
nostra
strada
a
offrirle
latte
appena
munto
per
la
signora;
lo
zappatore
a
valle,
che
aveva
messo
in
fresco
in
un’ansa
del
fiumicello
pesche
e
fichi
nel
canestro,
perché
sapeva
che
nel
tardo
pomeriggio
saremmo
capitati
io
a
dipingere
e
mia
moglie
a
farsi
un
non
so
quali
cosucce
all’uncinetto,
là
dove
appunto
l’acqua
lambisce
la
sponda,
ma
d’acqua
non
ci
giungeva
che
un
velo,
e
lui
ci
aspettava,
adusto
e
tarchiato,
e
mi
indicava
la
piccola
flotta
dei
frutti
trattenuta
da
un
cordone
di
ciotoli,
dicendomi
col
rispettoso
tu
ciociaro
e
romano,
più
dignitoso
e
virile
del
lei
e
del
voi
alla
fiorentina
o
alla
napoletana:
«
te
li
so'
messi
al
fresco
per
te,
Vossignoria,
e
per
la
tua
consorte
»;
la
ragazzetta
con
gli
occhi
fulgidi
che
incontravi
al
tramonto
e
ti
dava
la
buona
notte,
subito
arrossendo;
e
anche
gli
uomini
che
tornavano
dal
campo
e
le
donne,
e
i
bambini
e
i
somari
e
i
cani,
tutti
e
ogni
cosa,
alberi
e
case,
facevano
parte
d’un
paesaggio
immobile
e
sempre
eguale
nei
secoli,
l’eterno
presepe
che
parla
senza
voce,
con
simboli
e
allusioni. Così immutabili che pareva non ci fossero.
Il "fiumicello" Cosa ed un ponticello …
Il
territorio
di
Collepardo
è
pieno
di
sorprese
e
d’incanti.
Io,
che
ho
avuto
sempre
il
complesso
romantico
del
Robinson,
avevo
trovato
la
mia
isola
ignota
dove
l’animo
sta
sospeso
tutto
in
quell’amore
del
guardarsi
attorno
esplorando,
e
per
di
più
non
ero
solo:
ma
avevo
con
me
una
compagna,
anche
lei
curiosa,
amorosa,
non
serva,
come
il
Venerdì
di
Robinson,
ma
padrona,
non
mora
ma
bianca!
carne
della
mia
carne,
secondo
la
Scrittura.
O
meglio,
io
il
Paolo
e
lei
la
Virginia
di
Bernardin
de
Saint
Pierre,
che
giocavano
e
s’intenerivano
tra
i
palmizi
misteriosi
dell’Ile
de
France.
Con
qualche
anno
di
più,
naturalmente
e
assai
minore
semplicità.
Le Grotte di Collepardo in un vecchio disegno
Poco
più
su
del
paese
c’è
una
voragine,
il
pozzo
Santullo,
dove
il
soffitto
d’una
grotta
sotterranea
crollò
in
tempi
remoti
quando
su
ci
passavano
uomini
e
bestie,
ci
cantava
la
cicala
e
l’oliva
ci
maturava
sugli
alberelli.
Ora
la
buca
mostra
il
suo
ventre
squarciato
e
te
la
puoi
guardare
dal
ciglio
scabroso,
sotto
il
cielo
grande,
con
le
sue
stalattiti
e
le
stagmiti
che
ancora
si
tengono
abbracciate
alla
roccia
nei
loro
colori
di
ruggine,
d'ocra
e
di
piombo.
Sarà
profondo
venti
metri
o
più;
ma
l’interno
cavo
è
nascosto
da
una
vegetazione
di
cespugli,
di
rovi,
d'alberelli
e
di
alte
erbe,
fitta,
serrata
a
ogni
vista,
da
cui
sale
su
il
rombare
e
il
ronzare di mille, invisibili vite.
Non
emergono
dall’ombrosa
voragine
che
i
rami
più
alti
di
querce
giovani,
dal
fogliame
frangiato
d’un
tenero
verde,
come
antenne
gracili,
tese
a
ghermire
il
sole.
Mi
dicevano
che
ci
si
annidano
capre
selvatiche
e
lepri
e
che
i
paesani
una
volta
all’anno
scendono
giù
con
scale
di
corda
e
fanno
la
cacciata.
Noi,
lei
e
io,
ci
sedevamo
sull'orlo
di
sasso
a
guardare
giù
ficcando
gli
occhi
nel
folto,
se
mai
ci
riuscisse
d’intravedere
il
saltellio
d’un
capretto
o
il
guizzare
d’una
lepre
in
quell’inaccessibile
recinto
più
remoto
ancora.
più
intangibile
ancora
della
stessa
isola
incantata.
Lì
si
sarebbe
potuto
ricantare
la
poesia d’Adamo e d’Eva.
Oppure
ci
affacciavamo
curiosi,
quasi
timidi
all'atrio
della
grotta
Margherita
che
è
una
caverna
grande,
tutta
dentro
la
rupe;
ma
non
ci
si
può
entrare
per
il
troppo
(Collepardo)
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