Archivio storico de
L’Eco di Roccasecca
Dal n. 24 di Novembre/Dicembre 1999
L’Eco
di
Roccasecca
ripubblica
le
puntate
della
serie
denominata
“Appunti
di
viaggio
in
Ciociaria”,
ovvero
resoconti
tratti
da
vecchie
riviste,
libri
e
giornali
a
firma
di
scrittori
delle
più
varie
provenienze.
Gli
articoli
erano
il
frutto
di
una
ricerca
fatta
su
un
cospicuo
numero
di
documenti
presenti
nella
biblioteca
di
casa
Sarro,
di
proprietà
del
professor
Luigi.
Furono
pubblicati
sui
primi
numeri
dell’Eco
praticamente introvabili.
Appunti di viaggio in Ciociaria
(terza fermata)
Un paese in fondo ad una strada:
Collepardo
Continuiamo
la
pubblicazione
di
una
serie
di
vecchi
articoli
narrati
in
prima
persona,
che
descrivono
esperienze
di
viaggio
in
paesi
ciociari.
Ricordiamo
che
se
qualche
lettore
volesse
inviarci
la
sua
"gita
in
Ciociaria",
la
prenderemmo
senz’altro
in
considerazione.
L’articolo
odierno
porta
la
firma
di
Carlo
Alianello,
scritto
nel
1966
per
la
raccolta
"
Strenna
Ciociara
"
a
cura della "Associazione tra i Ciociari".
Sono
tornato
in
questi
giorni
al
paese
d’una
mia
antica
villeggiatura.
Sto
riscoprendo
un
po’
per
volta
il
bel
viso,
anche
se
talvolta
appare
austero
e
per
fin
arcigno,
d’una
delle
contrade
d’Italia,
così
vicina
a
Roma,
così
alla
mano
e
tanto
ignorata:
voglio
dire
la
Ciociaria.
L’ottocento
sapeva
tutto
sulle
ciociare;
nel
novecento,
quando
modelle
e
balie
caddero
di
moda,
anche
il
paese
andò
giù.
Già
era
difficile
arrivarci:
le
Vicinali
lente
e
scomode
o
la
Casilina
che
ha
o
aveva
il
fondo
cattivo
e
il
traffico
caotico
e
poi
straducce
intricate,
attorte,
dove
conveniva
andar
guardinghi
per
improvvisi
incontri
in
vie
deserte
di
carretti
che
sbucavan
dalla
macchia,
di
pecore
avviate
al
pascolo,
di
maiali
neri
e
irrequieti,
di
somari
bizzosi.
Allora
gli
uomini
portavano
le
cioce
ai
piedi
e
le
donne
il
costume e la pezza in capo.
Oggi,
dopo
l’apertura
dell’autostrada,
tutto
s’è
fatto
prossimo
e,
da
Frosinone
o
da
Anagni,
puoi
frugarti
l’intero
paese,
piega
per
piega.
Noi
un
tempo,
quel
tempo
di
cui
parlo,
ci
si
andava
in
villeggiatura
col
trenino,
in
corriera,
poche
e
sgangherate,
e
magari
con
qualche
carrozzaccia
che
era
metà
diligenza
e
metà
traino.
Agi
pochi,
comodità
nessuna;
anzi
mosche,
cucine
dense
di
fumo,
lumi
a
petrolio
o,
dove
arrivava
l’elettricità,
lampadine
grame,
con
un
filo
rosso
di
luce,
si
e
no,
ma
più
no
che
si.
L’acqua
dovevi
mandarla
a
prendere,
a
cogliere,
come
dicono
laggiù,
alla
fontana,
dalla
servetta
che
te
la
portava
nella
grande
conca
di
rame
in
bilico
sulla
testa,
leggera lei, leggera l’acqua lampante di sole.
Ma
l’aria
era
buona,
i
cibi
sapidi
e
di
pesche
e
di
fichi
ne
potevi
avere
un
canestro
per
due
soldi,
proprio
due
soldi,
quella
grossa
moneta
di
rame
dove
c’era
impressa
la
faccia
d’un
re,
con
la
scritta:
Regno
d’Italia,
centesimi
dieci.
Quanto
all'affitto
della
casa,
una
casa
di
cafoni
ripulita
un
po’
per
l'occasione,
bastavano
poche
lire.
Era
una
villeggiatura
di
gente
modesta
e
mio
padre,
ufficiale
del
R.
Esercito
a
riposo,
non
aveva
nulla
di
comune
col
mitico
Mida
re.
Dunque,
ho
girato
e
sto
girando
per
la
Ciociaria;
ma
in quel paese che dirò non c’ero ritornato mai.
Collepardo: seguito della Via Roma in una vecchia
cartolina
Io
non
sono
un
cultore
del
tempo
perduto,
cioè
d’un
tempo
troppo
vicino,
d’un
tempo
mio
che
è
poi
quello
degli
altri.
Sarà
per
deliberata
modestia
o
insofferenza
di
me,
sarà
per
un
certo
spirito
di
giovinezza
valente
in
un
corpo
da
tanti
anni
non
più
giovane
che
il
tempo
vero,
essenziale
seguita
a
vederselo
di
fronte,
proiettato
in
avanti,
tutto
da
riempire,
o
forse
solo
perché
la
moda
ha
cacciato
un
bel
po'
di
scrittori
in
quel
fiacco
tempo
perduto
e
su
quella famosa strada di Swann.
Le
mie
strade
vanno
tutte
in
dentro,
nel
buzzo
interno
o
in
interiore
homine,
se
volete,
e
lì
fermentano,
lì
volteggiano
per
ribuscare
comechessia
fuori,
all'aria
grande,
ma
il
pubblico
non
ci
passa
e
l’inclita
nemmeno,
e
basta
che
un
fatto
sia
di
moda
per
riuscirmi
odioso,
siccome
è
la
vanitosa
deformazione
di verità perenni.
Dico
di
Collepardo,
un
paesetto
pochi
chilometri
oltre
Alatri,
in
cima
a
un
colle
con
tanti
bei
monti
attorno
che
però
non
lo
schiacciano;
son
duri
sassi,
dure
ossa,
grossi
bastioni,
ma
lo
tengono
su
teneramente,
come
una
mano
cortese,
al
sole.
Ora,
su
questo
paese
c’era
anche
un
pensiero
mio,
più
che
un
ricordo,
quasi
soave
e
un
po’
triste,
una
cosa
leggera,
da
niente,
di
quelle
cose
che
dicono
poco
o
cambiano
tutto,
come
una
fontanella
giù
da
una
rupe
per
chi
ha
sete e la sete di riposata pace è perenne.
Allora
ero
giovane,
trent’anni,
professore,
e
mia
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