“Mostrano sempre l’immagine
ma non rac-contano mai la
storia”. Con queste poche ma
incisive parole John Carlos anni
dopo com-mentava la foto del
podio delle Olimpiadi del
Messico con Tommie Smith e lo
stesso Car-los con il pugno
guantato levato in alto a im-
peritura protesta contro il
razzismo imperante in America
contro i neri afro america-ni.
Una fotografia che è rimasta
un’icona senza tempo quella
che li ritrae con le rispettive
medaglie al collo: d’oro
Tommie Smith di bronzo John
Carlos. Invece l’australiano
Peter Norman, giunto secondo,
indossa sulla tuta la spilla del
Progetto Olim-pico dei Diritti
Umani che gli stessi atleti americani gli avevano
donato negli spoglia-toi. In effetti quelle messicane
furono le ve-re Olimpiadi degli anni Sessanta, dai
quali assorbirono tutta l’effervescenza di quel pe-
riodo con i diritti umani e politici in primo piano.
Mi è capitato di leggere di recente un libro di rara
bellezza, fatto di cronaca, quasi un lun-go articolo,
che racconta la vicenda umana dei due grandi
velocisti statunitensi passato alla Storia proprio per
quella foto sul podio. Più che per la loro pur grande
impresa sportiva.
“Trentacinque secondi ancora. Tommie Smith e John
Carlos il sacrificio e la gloria” scritto da Lorenzo
Jervolino del quale avevo già letto una strepitosa
biografia di Socrates, mi ha avvinto e lanciato
d’incanto in quelle atmosfere cariche di tensione
degli anni ses-santa ma anche nelle vite segnate
dalla po-vertà e dalle umiliazioni che sia Smith che
Carlos avevano attraversato nella loro gio-vanissima
età. Da questa lettura l’idea di raccontare all’Eco una
storia che cerca di spiegare che cosa c’è dietro, e
dopo, quella storica foto.
Tommie Smith era nato a
Clarksville, in Te-xas,
proprio il giorno dello
sbarco in Nor-mandia, il 6
giugno 1944. Era cresciuto
in assoluta povertà
insieme ad altri 11 fratelli
e sorelle riempiendo ceste
in una piantagione di
cotone, si era iscritto
all'università ven-dendo
macchine e studiando la
Costituzione e i discorsi di
Thomas Jefferson. Correva
ve-loce in pista, lo
paragonavano a Jesse
Owens, il campione afro-
americano che alle
Olimpiadi di Berlino del
1936 aveva tolto il sorriso
a Hitler dominando le gare
di veloci-tà nonostante la pelle scura. Lui però non
voleva essere come Owens, cittadino emeri-to
quando vinceva e negro il resto dell'anno. Quando
tagliò il traguardo davanti a tutti nei 200 metri di
Città de Messico, Tommie Smith aveva 24 anni. Fu il
primo uomo a percorrere i 200 metri in meno di 20
secondi e decise di dedicare la sua medaglia d'oro ai
fratelli e alle sorelle che venivano linciati, umiliati,
esclusi nella terra delle pari opportunità.
John Carlos invece era nato il 5 giugno 1945 ad
Harlem, il ghetto nero di New York dove lavorava
nel negozio di scarpe del padre e apriva le portiere
dei taxi davanti ai locali jazz frequentati da Duke
Ellington. Grazie alle sue doti atletiche, aveva vinto
una borsa di studio al college e si era poi trasferito
in California dove si allenavano i velocisti più forti
del paese. Si era iscritto alla San Josè State
University dove aveva conosciuto Tommie Smith e
insieme avevano aderito al Progetto olimpico per i
diritti umani.
Quando conquistò la medaglia di bronzo a Città del
Messico, John Carlos aveva 23 anni e pensò che la
giustizia sociale fosse più importante di una
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(di Ferdinando)