Ho
a
lungo
pensato
che
cosa
scrivere
per
il
numero
natalizio
dell'Eco.
Vari
gli
argomenti
che
mi
frullavano
per
la
mente,
gli
spunti
sui
quali
mentalmente
rimuginavo
e
cercavo
di
sviluppare.
Poi
è
arrivata
una
notizia
che
mi
ha
tolto
ogni
dubbio.
Una
notizia
letale,
che
mai
avrei
voluto
ascoltare.
La
chiusura
della
Ideal
Standard
di
Roccasecca.
Un'autentica
catastrofe
per
il
nostro
paese
ma
per
l'intero
Basso
Lazio.
Una
valanga
che
seppellisce
famiglie,
speranze,
progetti,
uomini
e
donne
di
questa
terra
che
sembra
proprio
aver
imbroccato
la
strada
del
declino.
Economico,
culturale,
sociale.
Una
notizia
che
mi
ha
colpito
in
modo
così
profondo
che
non
ho
potuto
evitare
di
pensare
che
anche
l'Eco,
nel
suo
piccolo,
non
poteva
ignorare
questa
tragedia.
Perché
è
di
ciò
che
si
tratta.
Quando
lo
ho
saputo,
una
domenica
mattina,
non
ho
potuto
fare
a
meno
di
telefonare
a
Roberto
che
in
quella
fabbrica
ci
lavora
da
oltre
trenta
anni.
Roberto
un
amico
di
sempre,
una
parte
di
me,
ma
sono
tanti
i
volti
e
i
nomi
di
persone
a
me
care
o
comunque
vicine
che
lavorano
da
decenni
in
quello
stabilimento
diventato
per
tutti
l'immagine
del
tessuto
economico
sul
quale
si
regge
Roccasecca.
Purtroppo
Roberto
non
ha
potuto
che
confermarmi
le
pessime
notizie
che
avevo
ricevuto
sul
destino
nefasto
della
sua
fabbrica.
Ma
di
tutto
ciò
che
ci
siamo
detti
nella
nostra
lunga
chiacchierata
telefonica,
quello
che
più
mi
ha
colpito
è
stata
questa
sua affermazione:
"Pensa
che
lo
stabilimento
va
bene,
anzi
molto
bene.
I
motivi
della
scelta
della
società
di
chiudere
lo
stabilimento
sono
altri,
non
la
mancanza
di
redditività.
Lo
stabilimento
porta
profitti,
ma
a
loro
non
basta.
Del
resto
ho
iniziato
a
lavorare
in
Ideal
Standard
nel
1984
quando
in
Italia
c'erano
9
stabilimenti.
Li
ho
visti
chiudere
tutti,
uno
dopo
l'altro.
Adesso
ne
sono
rimasti
solo
due.
Chiudere
il
nostro
a
loro
costa
"solo"
25
milioni.
Chiudere
l'altro
costerebbe
molto
di
più.
Ecco
perché ci chiudono"
.
Capite?
Qui
non
si
tratta
di
un'azienda
in
crisi,
di
un
business
che
non
rende,
di
una
produttività
insufficiente.
No.
Qui
si
tratta
di
una
strategia
volta
ad
un
solo
fine:
chiudere
per
aprire
altrove,
dove
si
possono
realizzare
profitti
ancora
più
alti
perché
è
consentito
lavorare
con
altre
regole.
O
senza
regole.
Il
dramma
della
delocalizzazione che non è certo una novità.
E'
la
legge
devastante
della
globalizzazione
che
quando
è
applicata
in
maniera
così
spregiudicata
abbatte qualsiasi ragionamento.
Ho
chiuso
la
conversazione
con
Roberto
con
la
morte
nel
cuore.
Pervaso
da
un
senso
di
impotenza,
da
una
rabbia
sorda
contro
una
logica
perversa
che
stritola
persone,
mondi,
diritti.
Mi
sono
passate
nella
mente
le
tante
persone
che
appunto
conosco
e
che
da
sempre
lavorano
in
quella
fabbrica.
Gente
che,
mi
consta,
ha
dato
tanto
dal
punto
di
vista
professionale,
uomini
che
hanno
sempre
considerato
quella
fabbrica
la
"loro"
fabbrica.
Ho
anche
rivisto
immagini
pescate
dal
mio
vissuto
legate
allo
stabilimento,
al
marchio,
alle
persone.
A
partire
dal
vecchio
marchio
Ceramica
Scala
che
campeggiava
sulle
maglie
del
Roccasecca
anni
Sessanta
in
una
sorta
di
sponsorizzazione
ante
litteram.
Ho
rivisto
la
maglia
bianca
con
le
due
strisce
diagonali
rossoblu
in
stile
Inter
Coppa
dei
campioni,
come
si
usava
all'epoca,
e
il
marchio
in
alto
a
sinistra.
Un
vero
"marchio
di
fabbrica"
che
identificava
quel
Roccasecca
di
Antonio
Di
Vito,
Tommasino
Sacco
e
tanti
altri
giocatori di una squadra dominante.
E
poi
i
tanti
tornei
giocati
nel
campo
di
calcio
interno
della
Ideal
Standard
diventata
negli
anni
Settanta
e
Ottanta
uno
sbocco
lavorativo
per
tanti
ragazzi
miei
coetanei,
alcuni
dei
quali
assunti
fra
quelli
che
giocavano a calcio con me.
L’Ideal
Standard
dagli
anni
Settanta
aveva
creato
una
sua
squadra
di
football
con
la
quale
disputava
anche
campionati
e
incontri
con
i
team
degli
altri
stabilimenti
dello
stesso
gruppo
industriale.
Trasferte
in
vari
paesi
europei
dove
quella
formazione
portava
orgogliosamente
il
nome
di
Roccasecca,
un’attività
che
aiutava
a
sviluppare
lo
spirito
di
gruppo
interno
ma
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pag. 1/2
(di Ferdinando)