L’Eco di Roccasecca - Anno 22 - n-ro 103
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Le canzoni di protesta degli anni ’60 (parte prima - Bob Dylan) C’è   stato   un   periodo   in   cui   il   mondo   musicale   si   è   trovato,   come   mai precedentemente    o    successivamente,    in    sintonia    con    gli    avvenimenti esterni,   avvicinandosi   alla   realtà   sociale   e,   particolarmente,   ai   movimenti giovanili   degli   anni   ‘60.   La   "canzone",   di   solito   mero   prodotto   alla   moda   di largo   consumo,   divenne   in   molti   casi,   uno   dei   più   alti   canali   di   espressione   di una   intera   generazione.   Diceva   l’estroso   e   indimenticato   Frank   Zappa:   " Il concetto   americano   di   gioventù   presume   che   tutti   i   ribelli   tornino   prima   o poi   all’ovile,   rientrino   nel   gregge.   Ma   noi,   no.   Non   possono   ignorarci.   Anche se   le   idee   che   stanno   dietro   alla   nostra   musica   non   piacciono,   la   si   deve ascoltare perché è dappertutto ". Sono   trascorsi   cinquanta   anni   dalle   prime   rivolte   studentesche   che,   partite dall'Università   di   Berkeley   in   California,   si   allargarono   in   Europa   a   macchia d’olio,    ma    quello    spirito    utopistico    e    quella    particolare    atmosfera    che sembrava   preludere   a   cambiamenti   radicali   in   seno   alla   società   occidentale non   sono   del   tutto   dimenticati.   Le   insurrezioni   del   ’68   e   del   ’69   nelle   città universitarie   furono   di   stampo   prettamente   politico-ideologico,   ma   da   un punto    di    vista    del    costume    e    del    mutamento    sociale    l’esigenza    di cambiamento   era   già   emersa   negli   anni   precedenti.   E   la   musica   non   era rimasta   estranea   o   indifferente   di   fronte   a   queste   crescenti   richieste   di cambiamento. In    particolare    fin    dai    primissimi    anni    ’60    il    mondo    giovanile    era    stato percorso   da   violente   scosse   determinate   dal   propagarsi   di   un   nuovo   genere musicale   (denominato   a   più   riprese   "beat",   "pop",   "rock"   etc.)   caratterizzato da   ritmi   veloci   e   frenetici,   dall’uso   di   strumenti   elettrici,   dall’avvento   dei capelli   lunghi   e   delle   celebri   minigonne,   e,   soprattutto,   dai   testi   di   molte canzoni   che   per   la   prima   volta   facevano   "pensare"   evitando   le   solite   banalità ricorrenti.   Beatles   e   Rolling   Stones,   dunque,   ma   anche   Bob   Dylan,   Donovan, Joan   Baez   e   tanti   altri   cantanti   "impegnati",   termine   forse   in   disuso   ma   che all’epoca rendeva bene il concetto. Pensiamo   sia   interessante,   ma   anche   doveroso,   rivisitare   alcuni   di   quei   testi (in   particolare   del   periodo   1963-1970)   che   furono   alla   base   di   un   certo   tipo di   protesta   -timidamente   affacciatasi   anche   in   Italia   con   qualche   anno   di ritardo    –    che    spingeva    ad    abbracciare    chitarre    anziché    fucili; canzoni   in   alcuni   casi   divenute   immortali,   in   altri   ingenue,   in   altri ancora ormai superate, ma sempre in qualche modo coinvolgenti. E’   nostro   intento   proporvi   i   testi   inglesi   nella   traduzione   italiana, affinché   raggiungano   più   persone   possibili,   sia   tra   coloro   che   le vissero   in   diretta,   sia   tra   quanti,   più   giovani,   le   hanno   conosciute soltanto   a   posteriori,   o   non   le   conoscono   affatto.   Indicheremo sempre   il   disco   di   riferimento   e   tutte   le   informazioni   principali, stringendo   all’osso   commenti   e   valutazioni   che   ciascuno   potrà   fare per suo conto. Non   potevamo   non   cominciare   con   colui   che   è   stato   considerato   il ribelle   numero   1,   colui   che   fin   dai   primi   dischi   scrisse   pagine indelebili   nella   storia   della   musica   di   questo   secolo,   riuscendo   a fare   più   danni   con   una   chitarra   acustica   ed   un’armonica   che   con   un centinaio di bombe: Robert Zimmermann, alias Bob Dylan. Degno    seguace    di    Woody    Guthrie,    il    folksinger    americano    che aveva    scritto    brani    che    diverranno    immortali    nella    sua    lunga carriera   di   "cantante   –   vagabondo   -   attivista   on   the   road "   negli anni   della   Depressione,   Dylan   in   realtà   se   ne   discosta   alquanto, diventando    presto    un    "profeta"    se    non    un    idolo    della    propria generazione. Come   scrive   Maffi   in   " La   cultura   underground,   vol.2:   Rock,   poesia,   cinema teatro ",    (Ed.    La    Terza,    1980)    " Dylan    non    era    l’individuo    che    cantava l’esperienza   d’un   popolo   o   d’una   classe   sociale,   ma   l’individuo   sensibilissimo agli   avvenimenti   socio-politici   che   canta   le   proprie   poesie   …   Era   Ginsberg   in musica    …    In    questo    individuo    la    generazione    di    un    certo    periodo    si riconobbe:   il   processo   quindi   fu   invertito.   Perciò   Dylan   divenne   per   un   certo tempo   l’ispiratore:   funzione   che   nessun   folk-singer   o   blues-singer   ha   in realtà   mai   avuto,   perché   il   loro   linguaggio,   la   loro   vita,   il   loro   messaggio   era qualcosa   che   apparteneva   a   tutti,   era   l’esperienza   di   tutti;   mentre   quelli   di Dylan divengono semmai ispirazione per tutti". Lasciamo spazio ai versi, ora. Dal   seondo   album   di   Bob   Dylan   " The   Freewheelin’   Bob   Dylan ",   pubblicato nel   lontano   1963,   ecco   due   tra   le   sue   più   ispirate   canzoni,   di   un’attualità   a dir   poco   sconcertante,   ad   oltre   50   anni   di   distanza.   La   prima   è   un   inno   ormai conosciuto   e   venerato   da   più   generazioni,   la   seconda   un   attacco   violento contro i guerrafondai. Blowin’ in the wind  (Soffia nel vento) 1963 Quante strade deve percorrere un uomo Prima di poterlo chiamare uomo E quanti mari deve navigare una colomba bianca Prima di addormentarsi sulla sabbia E quante volte devono volare le palle di cannone Prima di essere proibite per sempre La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta soffia nel vento E quanti anni può esistere una montagna Prima di essere spazzata verso il mare E quanti anni possono esistere gli uomini Prima di essere lasciati liberi E quante volte può un uomo girare la testa E far finta di non vedere La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta, soffia nel vento E quante volte un uomo deve guardare in alto Prima di poter vedere il cielo E quante orecchie deve avere un uomo Prima di poter sentire la gente piangere E quanti morti ci vorranno prima che lui sappia Che troppi sono morti La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta, amico mio, soffia nel vento Masters of War  (Padroni della guerra) 1963 Venite padroni della guerra Voi che costruite i grossi cannoni Voi che costruite gli aeroplani di morte Voi che costruite tutte le bombe Voi che vi nascondete dietro ai muri Voi che vi nascondete dietro alle scrivanie Voglio solo che sappiate Che posso vedere attraverso le vostre maschere Voi che non avete mai fatto nulla Se non costruire per distruggere Voi giocate con il mio mondo Come se fosse il vostro piccolo giocattolo Voi mettete un fucile nella mia mano E vi nascondete dai miei occhi E vi voltate e correte lontano Quando volano le veloci pallottole Come Giuda dei tempi antichi Voi mentite ed ingannate Una guerra mondiale può essere vinta Voi volete che io creda Ma io vedo attraverso i vostri occhi E vedo attraverso il vostro cervello Come vedo attraverso l'acqua Che scorre giù nella fogna Voi caricate le armi Che altri dovranno sparare E poi vi sedete e guardate Mentre il conto dei morti sale E voi vi nascondete nei vostri palazzi Mentre il sangue dei giovani Scorre dai loro corpi E viene sepolto nel fango Avete causato la peggior paura Che mai possa spargersi Paura di portare figli In questo mondo Poiché minacciate il mio bambino Non nato e senza nome Voi non valete il sangue Che scorre nelle vostre vene Che cosa so io Per parlare quando non è il mio turno Direte che sono giovane Direte che non so abbastanza Ma c'è una cosa che so Anche se sono più giovane di voi Che perfino Gesù non perdonerebbe Quello che fate Voglio farvi una domanda Il vostro denaro vale così tanto Vi comprerà il perdono Pensate che potrebbe Io penso che scoprirete Quando la morte esigerà il pedaggio Che tutti i soldi che avete accumulato Non serviranno a ricomprarvi l'anima E spero che moriate E che la vostra morte venga presto Seguirò la vostra bara Finché non sarò sicuro che siete morti.