L’Eco di Roccasecca - Anno 22 - n-ro 104
Questo era quanto ci dicevano le nostre care mamme e non c’era molto da scherzare, anche perché qualche volta al papà lo raccontavano per davvero ed allora un ceffone era quasi inevitabile. Di quelli veri, che lasciavano il segno! Tutto sommato, però, il bilancio era sempre positivo: una bella giornata l’avevamo comunque passata e domani ce ne sarebbe stata un’altra e poi un’altra, e poi un’altra ancora finché l’estate fosse durata, e con lei …  gli arbusti del finocchio selvatico. Certo che, se avessimo avuto delle pistole vere, il nostro divertimento sarebbe stato infinitamente più grande. Non pretendevamo mica di possedere armi come quelle che si vedevano al cinema del Dopolavoro quando proiettavano film di indiani, bastavano giocattoli, anche piccoli, purché facessero sentire lo sparo, anche perché imitare il galoppo del cavallo, il rumore degli spari e gridare “Io ero …”,  “Io ero …”, “Io ero …” era proprio un’ammazzata! Finalmente cominciarono a comparire le prime pistolette giocattolo, forse sulle bancarelle di qualche fiera paesana o della Festa della stazione, oppure nel negozio di Libera che aveva una cartoleria lungo Via Piave, andando verso la Via Casilina. Non ricordo bene. Fatto sta che queste pistolette erano proprio carine, anche se diverse da quelle delle Giubbe Rosse. Metalliche e di color nero, avevano la possibilità di contenere, arrotolata al loro interno, una strisciolina di carta rosa con tanti piccoli grumetti di polvere detonante. Inserendo quel rotolino nel manico e trascinandone  un estremo fin sotto al cane,  era possibile sparare automaticamente una sequela di colpi che continuava ininterrottamente fino a che la strisciolina di carta detonante non era finita. Questo se la pistoletta funzionava perfettamente. Se funzionava male, perché era diventata un po’ vecchia o perché il meccanismo era proprio difettoso, allora poteva accadere che il cane non centrasse più quel grumetto di polvere, ma che colpisse gli spazi vuoti tra l’uno  e l’altro. Che delusione allora! Per sentire il rumore degli spari occorreva tirare fuori la magica strisciolina rosa e colpirla con un sasso, cercando di far esplodere, uno alla volta, i colpi rimasti intatti. Ma non era certo la stessa cosa! A rimediare la situazione comparve finalmente la pistola delle Giubbe Rosse, piccola meraviglia tecnologica che riproduceva, più o meno fedelmente, le colt che si vedevano  al cinema. Avevano il manico rosso ed una struttura nera, con un tamburo a sei colpi che si poteva caricare a ditalini che, quand’erano colpiti, facevano proprio il rumore dello sparo. Il cane, poi,  si poteva alzare e tenere pronto a sparare, proprio come negli agguati che si vedevano al cinema. Non perdevano mai un colpo, una vera e propria meraviglia! Pianpiano tutti i ragazzini del Palazzone ebbero la loro pistola delle Giubbe Rosse ed alla fine ero rimasto solo io ad esserne senza, anche se papà mi aveva promesso che prima o poi me l’avrebbe comperata, magari per la Festa della stazione. Si poteva anche aspettare perché durante l’estate, appena iniziata, sarei andato al mare, in colonia, dove non avrei certo potuto portare quella meravigliosa pistoletta, col rischio di perderla. Terminate quindi le scuole con il conseguimento della licenza elementare e con il superamento della prova di ammissione alle medie non rimaneva che attendere il periodo che avrei trascorso in colonia, quella per i figli dei ferrovieri dove sarei andato per la seconda volta. La prima, l’estate precedente, l’avevo fatto proprio controvoglia, poiché ero l’unico ragazzino del Palazzone che ci sarebbe andato e che ci sarebbe rimasto per ben quattro settimane, un periodo che mi era sembrato interminabile. La colonia era stata quella di Porto San Giorgio, nelle Marche. Invece quell’estate del ’59 fummo in due a partire, io e Giggino, figlio della Signora Ida, che abitava all’altra scala del Palazzone e che era stato mio compagno di classe per tutte le elementari. Insieme sarebbe stata tutta un’altra cosa. Fu una vacanza fantastica, sul treno che prendemmo a Roma ritrovai molti dei ragazzini conosciuti l’anno precedente e con loro fu tutta una festa, durante il tragitto fino a Livorno. La festa continuò anche sul trenino della ferrovia privata da Livorno a Calabrone che aveva carrozze più piccole e più curiose. Non si fece altro che ridere e giocare, sembrava di essere sulla carrozza di Pinocchio e Lucignolo verso il Paese dei balocchi. Da sentirsi quasi in colpa! Stavolta il periodo sembrò brevissimo e purtroppo finì. Ricordo bene l’ultima sera, quando dopo aver recuperato le nostre valigette che erano state accantonate in un camerone caldissimo, ci accingemmo a consumare l’ultima cena prima del viaggio. Il grande e luminoso refettorio era pieno di bambini festanti e tutti si accodavano  ai cori intonati dai Romani  che, in stile vagamente  littorio, facevano più o meno così: Stanotte a mezzanotte è passato n’aeroplano E sotto c’era scritto Domani se n’annamo! Bim, bum ba, Qualcheduno la pagherà!
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(continua)
La pistola delle Giubbe rosse 2/4