Questo era quanto ci dicevano le nostre care mamme e non c’era molto da
scherzare, anche perché qualche volta al papà lo raccontavano per davvero ed
allora un ceffone era quasi inevitabile. Di quelli veri, che lasciavano il segno!
Tutto sommato, però, il bilancio era sempre positivo: una bella giornata l’avevamo
comunque passata e domani ce ne sarebbe stata un’altra e poi un’altra, e poi
un’altra ancora finché l’estate fosse durata, e con lei … gli arbusti del finocchio
selvatico.
Certo che, se avessimo avuto delle pistole vere, il nostro divertimento sarebbe
stato infinitamente più grande. Non pretendevamo mica di possedere armi come
quelle che si vedevano al cinema del Dopolavoro quando proiettavano film di
indiani, bastavano giocattoli, anche piccoli, purché facessero sentire lo sparo, anche
perché imitare il galoppo del cavallo, il rumore degli spari e gridare “Io ero …”, “Io
ero …”, “Io ero …” era proprio un’ammazzata!
Finalmente cominciarono a comparire le prime pistolette giocattolo, forse sulle
bancarelle di qualche fiera paesana o della Festa della stazione, oppure nel negozio
di Libera che aveva una cartoleria lungo Via Piave, andando verso la Via Casilina.
Non ricordo bene.
Fatto sta che queste pistolette erano proprio carine, anche se diverse da quelle
delle Giubbe Rosse. Metalliche e di color nero, avevano la possibilità di contenere,
arrotolata al loro interno, una strisciolina di carta rosa con tanti piccoli grumetti di
polvere detonante.
Inserendo quel rotolino nel manico e trascinandone un estremo fin sotto al cane,
era possibile sparare automaticamente una sequela di colpi che continuava
ininterrottamente fino a che la strisciolina di carta detonante non era finita.
Questo se la pistoletta funzionava perfettamente.
Se funzionava male, perché era diventata un po’ vecchia o perché il meccanismo
era proprio difettoso, allora poteva accadere che il cane non centrasse più quel
grumetto di polvere, ma che colpisse gli spazi vuoti tra l’uno e l’altro. Che
delusione allora!
Per sentire il rumore degli spari occorreva tirare fuori la magica strisciolina rosa e
colpirla con un sasso, cercando di far esplodere, uno alla volta, i colpi rimasti
intatti. Ma non era certo la stessa cosa!
A rimediare la situazione comparve finalmente la pistola delle Giubbe Rosse, piccola
meraviglia tecnologica che riproduceva, più o meno fedelmente, le colt che si
vedevano al cinema. Avevano il manico rosso ed una struttura nera, con un
tamburo a sei colpi che si poteva caricare a ditalini che, quand’erano colpiti,
facevano proprio il rumore dello sparo. Il cane, poi, si poteva alzare e tenere
pronto a sparare, proprio come negli agguati che si vedevano al cinema.
Non perdevano mai un colpo, una vera e propria meraviglia!
Pianpiano tutti i ragazzini del Palazzone ebbero la loro pistola delle Giubbe Rosse ed
alla fine ero rimasto solo io ad esserne senza, anche se papà mi aveva promesso
che prima o poi me l’avrebbe comperata, magari per la Festa della stazione.
Si poteva anche aspettare perché durante l’estate, appena iniziata, sarei andato al
mare, in colonia, dove non avrei certo potuto portare quella meravigliosa pistoletta,
col rischio di perderla.
Terminate quindi le scuole con il conseguimento della licenza elementare e con il
superamento della prova di ammissione alle medie non rimaneva che attendere il
periodo che avrei trascorso in colonia, quella per i figli dei ferrovieri dove sarei
andato per la seconda volta. La prima, l’estate precedente, l’avevo fatto proprio
controvoglia, poiché ero l’unico ragazzino del Palazzone che ci sarebbe andato e che
ci sarebbe rimasto per ben quattro settimane, un periodo che mi era sembrato
interminabile.
La colonia era stata quella di Porto San Giorgio, nelle Marche.
Invece quell’estate del ’59 fummo in due a partire, io e Giggino, figlio della Signora
Ida, che abitava all’altra scala del Palazzone e che era stato mio compagno di classe
per tutte le elementari. Insieme sarebbe stata tutta un’altra cosa.
Fu una vacanza fantastica, sul treno che prendemmo a Roma ritrovai molti dei
ragazzini conosciuti l’anno precedente e con loro fu tutta una festa, durante il
tragitto fino a Livorno. La festa continuò anche sul trenino della ferrovia privata da
Livorno a Calabrone che aveva carrozze più piccole e più curiose.
Non si fece altro che ridere e giocare, sembrava di essere sulla carrozza di
Pinocchio e Lucignolo verso il Paese dei balocchi. Da sentirsi quasi in colpa!
Stavolta il periodo sembrò brevissimo e purtroppo finì.
Ricordo bene l’ultima sera, quando dopo aver recuperato le nostre valigette che
erano state accantonate in un camerone caldissimo, ci accingemmo a consumare
l’ultima cena prima del viaggio.
Il grande e luminoso refettorio era pieno di bambini festanti e tutti si accodavano
ai cori intonati dai Romani che, in stile vagamente littorio, facevano più o meno
così:
Stanotte a mezzanotte
è passato n’aeroplano
E sotto c’era scritto
Domani se n’annamo!
Bim, bum ba,
Qualcheduno la pagherà!
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La pistola delle Giubbe rosse 2/4